IL CULTO DI NETTUNO (parte I)

La sconfinata distesa turchina, schiumeggiante, del mare, in grado con la sua voce perentoria di toccare le corde più profonde dell’uomo, poiché complice della sua inquietudine. E i fiumi, i torrenti e i laghi gonfi di vita, vene e specchi del Mondo. Questo, fondendosi quasi senza soluzione di continuità con la cerulea vastità del Cielo, è il regno di Nettuno.

Nettuno è praticamente indistinguibile da Poseidone. Benché già nelle primissime fonti latine risulti assimilato al dio greco (1), nulla ci induce a dubitare dell’originaria romanità del dio. Ad essere greci, tutt’al più, sono i motivi iconografici: più che ad un’influenza greca a senso unico, possiamo ipotizzare una mediazione a doppio binario da parte degli Etruschi: se il loro dio delle acque, Nethuns, appare con gli attributi tipici di Poseidone, quali il tridente o le creature marine, con rappresentazioni che rimandano ad episodi del Mito (vedremo più avanti) il nome deriva decisamente da Nettuno (2). Diverse le proposte avanzate da antichi e moderni sulla sua etimologia. I primi (3) fanno riferimento alla ierogamia tra terra e acqua, i secondi riconducono il teonimo alla radice indoeuropea *neptu (umidità), da cui anche il latino nubs.

Quella antica trova equivalente corrispondenza nella figura di Poseidone: il nome del dio, ben attestato già presso i Micenei a Pilo e a Cnosso, nelle tavolette in Lineare B, significa appunto “signore/sposo della terra” (4). I moderni han sempre ritenuto che il dominio di Nettuno sui mari seguisse l’influsso ellenico, e che originariamente presiedesse solo alle acque di fiumi e sorgenti (5). Questo è sbagliato per diversi motivi: intanto perchè la sfera di Poseidone si esercita anche su queste acque dolci (6). In secondo luogo, perchè anche gli abitati più interni del Lazio non distano che poche decine di miglia dalla costa, raggiungibile senza difficoltà per via interna o fluviale. Si consideri la vocazione mercantile dei popoli confinanti (gli Etruschi e i Punici, con i quali i Romani siglarono un trattato già nel 509 a.e.v).

Si aggiunga la necessità di controllare le foci del Tevere già in epoca monarchica e il commercio di sale (7), elemento essenziale per l’esistenza umana (8), sottolineano l’importanza che il mare rivestiva per i Latini fin dai tempi più remoti. E’ dunque chiaro, che già allora, i Romani avevano l’esigenza cultuale di gestire l’insidiosa, conturbante distesa marina propiziandosi una divinità: la quale non può essere altra che Nettuno.

Egli è dunque incontestabilmente il signore delle acque. Di tutte le acque (9): nelle fonti letterarie,  il dominio di Nettuno si estende sia alle acque dolci (10) che a quelle salate (11), con una netta prevalenza verso le seconde. Le fonti epigrafiche sembrano dare un quadro di senso opposto, privilegiando il legame con le acque interne (ciò soprattutto in aree come l’Africa o l’Italia settentrionale).

Questo è sicuramente valido laddove Nettuno risulti associato alle Ninfe o a divinità idriche, come Benacus del Garda. Inoltre, i soggetti dedicatari portano gentilizi locali (l’Allius di Reate, il Virius di Ateste, il Sulpicius ed il Coelius dell’ager Brixianus, il Dunillius dell’ager Bergomas ed il Caecillius di Comum); questa induce ad escludere che si tratti di cultori del dio trasferiti dai centri costieri. Resta comunque il fatto che di Nettuno a Roma si privilegiasse la maestà sulle acque che fluiscono o zampillano liberamente dal suolo. Le sue feste del 23 Luglio, i Neptunalia attestati nei principali calendari (12) coincidono proprio col periodo acuto di siccità, il più torrido e afoso dell’anno; una fase critica soprattutto per le colture. Non è un caso che i Neptunalia appaiano sui Menologia Rustica, calendari che forniscono prescrizioni sulle attività relative alla cura dei campi (13).

 

In questo senso, l’apporto idrico fa di Nettuno un dio fecondante: come tale è rappresentato sul manico di un vaso d’argento, rinvenuto in Germania (14), insieme ai suoi soliti attributi, accanto ad un recipiente da cui sgorga dell’acqua e sotto la quale è presente un altare ricolmo di messi. Tuttavia il dio non viene mai esplicitamente salutato come tale, ad esempio con epiteti quali frugifer, come invece avviene per Poseidon Phytalmios (“colui che nutre/genera”), diffusamente adorato in tutta la Grecia (15) fin dall’Età del Bronzo (16). Nel culto è infatti associato a Demetra (17), e a Trezene gli si offrivano non a caso le primizie della terra (18). Talete, il primo filosofo occidentale, sosteneva che il nutrimento di tutte le cose è umido, e poiché l’acqua è alla base di esso, nell’acqua sta l’ἀρχή, ossia il principio di tutte le cose. Aristotele, riportando questa dottrina, la collega a quella ancor più antica (19) che vede Oceano e Teti generatori di ogni cosa.

Questa funzione, come si è detto, trova indiretta corrispondenza della posizione nel calendario dei Neptunalia . Su cui nulla sappiamo, tranne il fatto che si beveva vino e che i partecipanti, per sfuggire all’arsura, si riparavano con delle coperture di fronde e frasche; in epoca successiva a queste feste si aggiunsero dei Ludi, spettacoli tra cui probabilmente le corse di cavalli nel Circo Flaminio (20); il cavallo, insieme al delfino, è l’animale associato al dio (21). Al Flaminio si trova infatti il luogo di culto di Neptunus.

 

Non conosciamo la data di fondazione (22) ma nel 206 a.e.v. era sicuramente già presente, dal momento che le fonti menzionano un prodigioso stillare di sudore dall’altare e dalle porte dell’edificio (23). C’è chi ritiene vi sia un altro edificio di culto in Campo Marzio, forse risalente a Marco Agrippa (24). Tornando a quello in Circo Flaminio, verso la fine della Repubblica o nella prima età augustea venne ricostruito da Gneo Domizio Enobarbo (25), ed ulteriormente abbellito da uno splendido gruppo scultoreo raffigurante Nettuno e l’intera sua corte, un trionfo di figure ed elementi marini (26); il dies natalis del tempio cade il 1 Dicembre (27). Tuttavia, questo luogo sacro è sicuramente molto antico, e forse addirittura precedente al primo Lectisternio del 499 a.e.v. Le prime tracce individuabili del culto di Nettuno risalgono infatti a quest’epoca: in seguito ad una pestilenza, si decretò (dopo la consultazione dei Libri Sibillini) il primo Lectisternium (da lectus sternere, “stendere dei letti”).

 

Si tratta di un’usanza di origine greca, in cui effigi delle divinità vengono poste a coppie su letti, davanti a mense rituali imbandite in loro onore. Di queste prime tre coppie, supplicate in questa occasione, Nettuno era posizionato a fianco di Mercurio (28). Un secondo Lettisternio venne celebrato nel 217 a.e.v, dopo la sconfitta romana sul Trasimeno, dove Nettuno venne celebrato insieme ad altre undici divinità maggiori (29), questa volta a fianco di Minerva. Il rito venne svolto ancora, a più riprese e sempre per ragioni di grande necessità. Questo elenco di dodici divinità richiama il Dodekatheon, gli Dèi Olimpici (e greca è, come si detto, l’origine del rito). Eppure riecheggia, almeno in parte, una tradizione italica, ossia quella relativa ai Dii Consentes propri della religione etrusca (30). Nettuno è uno di essi. A questo gruppo di divinità è dedicato il Portico degli Dèi Consenti al Foro (31), davanti al Tempio di Saturno e proprio sotto al Campidoglio, risalente al III/II secolo a.e.v. Al suo interno, erano conservate a coppie le dodici statue dorate, inclusa quella di Nettuno e Minerva. Una sua ristrutturazione, attestata alla seconda metà del IV secolo, dimostra la longevità di questo culto (32). Questo restauro fu opera del prefetto Vettio Agorio Pretestato, campione della Romanità (in un’epoca dove la superstizione giudaico-cristiana era ormai fuori controllo) ed esponente di spicco della componente gentilizia all’interno del Senato.

Il tridente è presente su emissioni romane (aes signatum) fra il 260 e il 242 a.e.v, ossia da quando i Romani batterono moneta. L’attributo del dio, oltre a delfini, conchiglie ed altri elementi, continua ad apparire per tutto il III, il II e il I secolo a.e.v. Questo avviene anche nelle colonie latine, ricalcando molto spesso la precedente monetazione di quelle città; così a Brindisi, a Luceria in Daunia, a Sibari, a Turii, a Reggio. Da questo si evince come larga parte della fortuna di Nettuno nel meridione d’Italia si debba al fatto che  la sua figura si innestò sul precedente culto di Poseidone.

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                                                       -Adriano Mattia Cefis
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                                   NOTE

1) Gnaeus Naevius, Belli Poenici I frammento 15: “Il vecchio, forte della sua pietà, invocò il dio fratello del re degli dèi, Nettuno signore dei mari..”. Il vecchio è Anchise il quale, allo scoppiare della tempesta rivolge la sua preghiera a Nettuno perché plachi le onde e permetta ai Troiani una sicura navigazione. Quintus Ennius, frammento 2 [Scipio]: “La vasta volta del cielo si fermò in silenzio e l’implacabile Nettuno placò i violenti marosi, il sole trattenne i cavalli dai volanti zoccoli, s’arrestò il corso dei fiumi perenni, gli alberi non più mossi dal soffio dei venti”; frammento 35 [Euhemerus sive Sacra Historia]: “Parimenti Opi mette al mondo Nettuno senza che Saturno lo sappia e lo nasconde in segreto” e 36: “..dove Giove consegna a Nettuno l’impero sul mare, con la concessione di regnare su tutte le isole e su tutte le zone della terra prospicienti il mare”. Annales II 87: “..i cerulei prati di Nettuno”; frammento  407: “..e sulle navi fremeva la pioggia di Nettuno”.

2) Georges Dumezìl, La Religione Romana Arcaica, pp. 570-571: “Quando si osserva il pantheon etrusco nei documenti in lingua indigena, cioè sugli oggetti d’arte o sul Fegato di Piacenza, appaiono due elementi dominanti. Il primo di essi, cui già ci siamo riferiti più volte, è il gran numero di nomi divini tratti dalle lingue italiche. In particolare molti dèi, pur essendo propriamente etruschi, portano nomi latini deformati ma riconoscibili [..] Queste divinità hanno un unico nome, quello che portavano nel loro paese d’origine, sia che siano state completamente importate – persona e nome – sia che, originarie divinità nazionali, siano state assimilate ad antichi dèi stranieri con un’operazione inversa rispetto all’interpretatio etrusca, ed abbiano quindi perduto il loro nome nazionale sopravvivendo soltanto con il nome straniero”.

3) Varrone, De l.l. V 72: “Nettuno trae il suo nome dal fatto che il mare ricopre (obnubit) le terre come le nuvole (nubes) il cielo: il nome deriva da nuptus, che vuol dire copertura, come dicevano gli antichi, da cui il vocabolo nozze (nuptiae) e sposalizio (nuptus).”

4) DEMGOL (Dizionario Etimologico della Mitologia  Greca  OnLine), pag. 308: “Esiste anche un epiteto e-ne-si-da-o-ne, forse da connettere con Ennosìgaios ed Enosìchton, «che muove la terra», ben attestati in Omero e in Esiodo; in Pindaro abbiamo Ennosìdas. Numerose interpretazioni etimologiche si sono susseguite nel tempo. Sembra assai piú attendibile l’ipotesi che, a partire dalla forma Poteidàon, individua nella prima parte del composto un vocativo *Potei-, signore (*poti-, ” «signore della casa», lat. potis) e nella seconda Dàs, l’antico nome della Terra, per cui significherebbe «signore, sposo della terra» “. Di questo legame ne rimane traccia in qualche mito: Pausania VIII 25, 5: “Affermano, che Demetra partorisse da Poseidone una figlia, il nome della quale non credono potere rivelare ai profani, ed il cavallo Arione: e che perciò presso loro, i primi fra tutti gli Arcadi fu Nettuno chiamato Equestre. Allegano versi della Iliade e della Tebaide per servir loro di prova al racconto [..] Vogliono dunque che questi versi alludino al fatto che Nettuno sia padre di Arione. Ma Antimaco lo dice figlio della Terra..”

5) Georges Dumezìl, La Religione Romana Arcaica pag 340: “Al di sopra di tali spiriti dalla specifica competenza, conoscevano i Romani una divinità che, come Tellus per la terra oltre a tutte le varietà di Lari, raffigurasse la virtù generale dell’acqua presente alla superficie del suolo? Può darsi. E può anche darsi che questa divinità sia molto antica: nella sua assimilazione con Poseidone essa però si rinnovò a tal punto da conservare ben poche tracce delle sue originarie caratteristiche peculiari. Questa divinità è Nettuno. Gli studiosi pensano concordemente che Nettuno in origine non fosse il patrono del mare, poco interessante per i primi Romani..” Di diverso avviso è invece Adelina Arnaldi, Il Culto di Neptunus nell’Italia Romana, in particolare pp. 7 e seguire. Diverse considerazioni fatte in questo articolo si basano su questo lavoro.

6) Tra gli altri, vedi Omero, Iliade XII 17: “..pensarono allora Poseidone e Apollo a distruggere il muro, gettandogli contro la furia dei fiumi, quanti dai monti dell’Ida corrono al mare; il Reso e l’Eptàporo e il Càreso e il Rodìo e il Grànico e l’Esepo e il glorioso Scamandro e il Simòenta, là dove molti scudi e cimieri caddero [..] e ricondusse [Poseidone] i fiumi nel loro letto, là dove prima lanciavano l’acque bella corrente”. Pindaro, Olimpiche VI: “..sceso nel mezzo dell’Alfeo [fiume] chiamò Poseidone, l’avo materno dall’ampio potere”. Eschilo, Sette Contro Tebe 307: “Verso quale contrada migliore di questa potrete migrare, se cederete ai nemici la nostra terra dalle zolle profonde e l’acque della fonte Dircea che disseta più di ogni altra corrente, quante ne fa zampillare Poseidone che circonda la terra, con le figlie di Teti?Euripide, Fenicie 187: “..dove Poseidone con il suo tridente fece sgorgare la sorgente di Amimone!Hyginus, Fabulae 187, 7: “Quanto alla morta Alope, Nettuno [Poseidone] la trasformò nella sorgente che da lei prende il nome”. Eusth, Schol. XV Pausania, Descrizione della Grecia II 15, 5: “Si fa anche questo racconto: che in questa terra fu primieramente Foroneo, ed Inaco, non uomo, ma fiume, fu il di lui padre. Foroneo fu giudice fra Nettuno, e Giunone per contendersi il paese, e con esso lui furono giudici Cefiso, Asterione, ed il fiume Inaco. Ora avendo costoro deciso che il paese dovesse essere di Giunone, dicono che Nettuno fece sparire l’acqua. Laonde nè l’Inaco, nè alcun altro de’ sopraddetti fiumi porta acqua se non piovendo, e nella estate mancano le loro acque fuorchè in Lerna”; II 20, 6:A destra dell’ingresso di questa è il tempio edificato in onore del fiume Cefiso. Dicono poi che l’acqua di questo fiume non è stata da Nettuno fatta totalmente sparire; ma ivi specialmente dove è il tempio, lo sentono scorrere sotto terra”. III 21, 5: “Dopo Crocee volgendo a destra sulla strada che conduce diretta a Gizio, giungerai alla piccola città di Egie [..] Ivi è il lago detto di Poseidone; e sul lago è l’edicola e la statua del Nume. E temono di prendere i pesci affermando che chi li pesca muore”. VIII 10: “Da Mantinea escono strade verso l’altra Arcadia [..]

7) Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane II 55, 5: “Venne dopo non molto un’ambasceria dei Veienti, per terminare la guerra e chiedere ammenda dei mancamenti, e Romolo ne assecondò le istanze imponendo: che cedessero le terre in prossimità del Tevere nominati Settepagi; che non si accostassero alle saline presso le bocche del fiume..” Plutarco, Romolo 25, 5: “Avvenuta la rotta dei Veienti, Romolo lasciò fuggire i nemici superstiti e si diresse sulla loro città. I cittadini non resistettero al grave rovescio subito, ma con preghiere ottennero la pace e stipularono un trattato di amicizia per 100 anni e cedettero una gran parte del loro territorio, che chiamano «Septempagio», cioè «I sette distretti», rinunciando al possesso delle saline lungo la riva del fiume”. Plinio XXXI 88: “Il re Anco Marcio diede al popolo 6000 moggi di sale in congiario [distribuzione gratuita] e istituì per primo le saline”. Livio I 33, 9: “[Anco] estese il dominio di Roma fino al mare, e alle foci del Tevere venne fondata Ostia, intorno alla quale furono create delle saline”. Aurelio Vittore, De Viris Illustribus 5, 2: “[Anco] impose un dazio sulle saline”. Quest’ultima informazione sembra anteporne la creazione ad un re precedente ad Anco.

8) Al sale verrà dedicato un approfondimento specifico. A titolo d’esempio, Cassiodorus, Variae XII 24, 6: “..sebbene possa esistere qualcuno che non desidera l’oro, non è mai esistito nessuno che non abbia desiderato il sale”. Cicerone, De Amicitiae XIX 67: “Quanto è più vecchia [l’amicizia], come quei vini che sopportano l’invecchiamento, tanto più dev’essere dolce; ed è vero ciò che si dice, che si devono mangiare molti moggi di sale assieme, perché il dovere dell’amicizia sia soddisfatto”. Sull’uso del sale, oltre a Dioscoride V 109, anche Plinio, che nel trentunesimo libro tratterà ampiamente di questa sostanza; qui si citerà solo questo stralcio. Plinio XXXI 88: “Perfino gli ovini, i bovini e le bestie da soma sono spinti a mangiare soprattutto dal sale, e allora il loro latte è molto più abbondante, e anche la qualità del formaggio è molto migliore. Dunque, per Ercole, senza sale non si può condurre una vita civile; è una sostanza talmente necessaria che l’accezione del vocabolo sale è passata a designare anche i piaceri intellettuali, che prendono tale nome [sales, “scherzi, battute piccanti”, ndt]: ogni divertimento della vita, l’allegria estrema, il riposo dalle fatiche non hanno un altro termine che li indichi meglio. Il sale entra anche nelle cariche civili e nella vita militare col termine salario; aveva anche per gli antichi grande importanza, come si vede dal nome della Via Salaria, derivante dal fatto che si era deciso che per quella via si trasportasse il sale ai Sabini [..] Secondo Varrone gli antichi lo usavano come salsa e risulta dal proverbio che essi solevano mangiare pane col sale. La sua importanza tuttavia si coglie soprattutto nelle cerimonie sacre, giacchè nessuna viene compiuta senza farina salata”. Vedi anche Anthony Harding, Salt in Prehistoric Europe, Luigi Clerici, Economia e Finanza dei Romani, Adalberto Giovannini, Le Sel et la Fortune de Rome (in Athenaeum LXXIII), con bibliografie annesse.

9) Servio, Georgiche IV 29: “..Servio, Georgiche IV 29: “..egli [Virgilio] ha usato il dio come equivalente di acqua [..] Nettuno era il protettore dei fiumi, delle fonti e di tutte le acque”. Agostino, De Civ. Dei. VII 16: “Affermano che Vulcano è il fuoco cosmico, Nettuno le acque cosmiche..”

10) Catullo, Carmina 31: “Che allegria piena, distesa, Sirmione, rivederti piú bella di tutte le isole e penisole che Nettuno solleva sulle acque diverse dei laghi trasparenti o del mare immenso. Delle isole e penisole gioiello, o Sirmione, di quante ne sostiene tra laghi risplendenti e mare aperto, l’uno e l’altro Nettuno..” Virgilio, Georgiche IV 29: “In mezzo all’acqua, stagnante o corrente, getta di traverso salici e grosse pietre, affinchè su ponti frequenti possano sostare e le ali stendere al sole estivo se mai, mentre indugiavano, le spruzzò o improvviso in Nettuno le immerse l’Euro”. Vitruvio, De Architectura VIII 3, 15: “Esistono comunque anche acque dall’effetto letale perché scorrendo su terreni impregnati di umori malsani ne assorbono il potere venefico; come si racconta a proposito della sorgente detta di Nettuno, a Terracina, che provocava la morte di chi impunemente ne avesse bevuto l’acqua, motivo per cui venne interrata.” Ammiano Marcellino XVII 7, 12: “Per questo motivo siffatti terribili fenomeni avvengono nei periodi caldi o di piogge eccessive. È questa la ragione per cui gli antichi poeti e teologi chiamarono Nettuno, che simboleggia la potenza delle acque, Ennosigeo e Sisichthon.” Aulo Gellio, Noctes Acticae II 28: “Sono essi provocati dalla forza dei venti che s’infiltrano nelle caverne e nelle fenditure del suolo? o da quella delle acque che si agitano nelle cavità sotterranee con urti e fiotti (come evidentemente ritenevano i più antichi tra i Greci, che chiamarono Nettuno «lo scuotiterra»)?

11) Cicerone, De Natura Deorum II 66: “..il primo regno, cioè il dominio su tutto il mare, fu affidato a Nettuno che la tradizione vuole fratello di Giove ed il cui nome è un ampliamento del vero nare [Nettuno]”. Stazio, Tebaide II 45: “Qui Nettuno conduce in porto i suoi cavalli, stanchi del mare Egeo; gli zoccoli anteriori scavano l’arena, le estremità, a forma di pesce, si perdono fra le onde.”

12) Le festività di Neptunus si trovano in tutti i Fasti (perlomeno, in quelli abbastanza conservati). CIL I2: Allifani (p. 217), nei Pinciani (p. 219), Maffeiani (p. 225), Guidizzolo (p. 253), Philocaliani (p. 268).

13) Menologia Rustica Colotianum (CIL I2 281).

14) CIL XII 5697.4, dal Rodano (Gallia Narbonense). Citato da Adelina Arnaldi, ibidem pp. 225-226, che aggiunge: “Una rappresentazione di Neptunus come frugifer si avrebbe anche sul mosaico africano di La Chebba, ove l’immagine del dio, su quadriga di ippocampi, è circondata dalle Horae con gli attributi delle quattro stagioni”.

15) Pausania, Descrizione della Grecia II 32, 7: “Fuori delle mura [di Trezene] v’è anche il tempio di Poseidone Phytalmios. Poiché dicono che il dio adiratosi contro di loro rese la terra infruttuosa, essendo penetrata la salsedine ne’ semi e nelle radici delle piante, finchè cedendo ai sacrifici e alle preghiere non mandò più salsedine nella terra. Oltre il tempio di Poseidone v’è quello di Demetra Tesmofora eretto, secondo ciò che narrano, da Altepo”. Poseidon Phytalmios era adorato in Attica, a Megara e sulla penisola di Methana (Trezene, Oga), a Rodi (Camiro e Lindo), a Ios e sulle coste dell’Asia Minore ad Eritre in Ionia, a Cnido e Alicarnasso in Caria. Quest’ultima città sarebbe stata fondata da Anthas, figlio di Poseidone e di Alcione, e vi avrebbe istituito il culto; da lui nacque la discendenza degli Anteadi, sacerdoti di Poseidone a cui era vietato cibarsi di pesce. La fortuna del culto di Poseidone “agricolo” è confermata da Plutarco, Quaestiones Convivales 675F: “Molti erano d’accordo nel sostenere che quella di pino è una corona propria di Posidone, ma Lucanio aggiunse che questa pianta è sacra anche a Dioniso e perciò non è fuori luogo che sia stata associata al culto di Melicerta; questa considerazione ci portò a chiederci per quale ragione gli antichi abbiano consacrato il pino a Posidone e a Dioniso. A me sembrava che non ci fosse niente di strano, dato che entrambe queste divinità sono ritenute essere i signori del principio dell’umido e della fecondità; possiamo quasi dire che tutti i Greci fanno sacrifici a Posidone “Fecondo” e a Dioniso “Signore degli alberi”. Tuttavia si potrebbe dire che il pino è in particolare collegato con Posidone, non tanto, come crede Apollodoro, perché è un albero che cresce lungo le coste del mare, né perché, come il mare, ama il vento (questa è la spiegazione di alcuni), ma soprattutto perché è usato per costruire le navi. Infatti il pino d’Aleppo, come pure gli alberi suoi fratelli, il pino marittimo e il pino domestico, non solo fornisce il legno migliore per la carpenteria marittima, ma anche la pece e la resina per calafatare le imbarcazioni: senza queste sostanze nessuna imbarcazione sarebbe adatta a solcare il mare”. Septem Sapientium Convivium 158E: “Dove ci sarà un altare o un sacrificio a Zeus portatore di pioggia o a Demetra che si invoca prima dell’aratura, o a Poseidone che dà il nutrimento?”. De Virtute Morali 451C: “Perciò il lavoro della ragione non è da trace né da Licurgo: non consiste nel tagliar via e nel distruggere ciò che la passione ha di utile assieme a ciò che ha di dannoso, ma, come fanno il Dio della fecondità [Poseidone] e quello delle vigne [Dioniso], nel potare ciò che è selvatico e nell’estirpare ciò che eccede la misura, per poi coltivare e curare tutt’attorno ciò che è utile”. Adversus Colotem 1119D: “..ammettere che Zeus sia «Padre della stirpe», o che Demetra sia «Legislatrice», o che Poseidone sia «Custode della crescita».

16) “The workship of Poseidon and Aphrodite in the proximity of Ayios Konstantinos could be seen as a survival of the cult of two similar divinities in the neighbouring Mycenaean sanctuary. Ayios Konstantinos and the two sites ad Oga lie below the volcanic domes of the area of Kypseli. Volcanic actvity, possibly accompanied by earthquakes, would not have been an unknown phenomenon on Methana during the Bronze Age, given that the big volcano ad Kaimeno Vouno was active untile the 3rd century BC, when a major eruption recorded by Strabo (I 3, 18), Ovid (Met. XV 296-306) and Pausanias (II 34, 1) occorred. The physical environment of Methana may have been the main cause for venerating here, from very early times, the godo f elemental poker, who was considered to dominate both the watery element and the dephts of the earth”. Eleni Konsolaki Yannopoulou, The Beginning and the Development of Poseidon’s Cult in Troezenia pag. 149 (e infra) in Poseidon. God of Earthquakes and Waters.

17) Ad esempio a Trezene, con un santuario in stretta relazione con quello di Demetra Thesmophoros (vedi Pausania, nota precedente). Anche ad Eleusi, Pausania I 38, 6: “Si trova in Eleusi un tempio a Trittolemo, quello di Diana Propilea e quello di Poseidone Padre”. Quest’associazione, oltre che nell’Attica, si ha anche ad Argo, in Arcadia e a Mikonos.  Plutarco, Quaestiones Convivales 668E: “..dichiarano che la speranza è la risorsa essenziale della vita, più d’ogni altra, perché quando manca la speranza o quando essa non dà più piacere, la vita diventa intollerabile, così si deve supporre che anche nel caso dell’alimentazione ci sia un elemento essenziale dell’appetito, in mancanza del quale ogni cibo perde gradevolezza ed efficacia. Ora, tra i prodotti della terra non troverai niente del genere, invece tra quelli del mare c’è anzitutto il sale, senza il quale nulla, per così dire, è commestibile; ma questo condisce anche il pane, quando vi è aggiunto, (ecco perché Poseidone è venerato negli stessi templi di Demetra) e il sale è un alimento gradevolissimo, più degli altri”. Vedi anche il mito in fondo a nota 4.

18) Plutarco, Teseo 6: “Etra per tutto il tempo tenne nascosta la vera origine di Teseo: correva la voce, messa in giro da Pitteo, che fosse figlio di Poseidone. I Trezeni infatti onorano in modo particolare Poseidone, che è il dio protettore della loro città. A lui offrono le primizie dei frutti, e il tridente è l’emblema della loro moneta”.

19) Aristotele, Metafisica XIII 983b 17: “Ci dev’essere una qualche sostanza, o più di una, da cui le altre cose vengono all’esistenza, mentre essa permane. Ma riguardo al numero e alla forma di tale principio non dicono tutti lo stesso: Talete, il fondatore di tale forma di filosofia, dice che è l’acqua (e perciò sosteneva che anche la terra è sull’acqua). Egli ha tratto forse tale supposizione vedendo che il nutrimento di tutte le cose è umido, che il caldo stesso deriva da questa e di questa vive (e ciò da cui le cose derivano è il loro principio): di qui, dunque, egli ha tratto tale supposizione e dal fatto che i semi di tutte le cose hanno natura umida – e l’acqua è il principio naturale delle cose umide. Ci sono alcuni secondo i quali anche gli antichissimi, molto anteriori all’attuale generazione e che per primi teologizzarono, ebbero le stesse idee sulla natura: infatti cantarono che Oceano e Tetide sono gli autori della generazione [delle cose] e che il giuramento degli Dèi è sull’acqua chiamata Stige dai poeti: ora, ciò che è più antico merita più stima, e il giuramento è la cosa che merita più stima. Se dunque questa visione della natura sia in verità antica e primitiva potrebbe essere dubbio, ma Talete senz’altro si dice che abbia descritto la prima causa in questo modo.” Vedi anche Plutarco, Quaestiones Convivales 730D: “Eppure mi hai sentito dire spesso che a Leptis i sacerdoti di Poseidone, quelli che noi chiamiamo hieromnèmoni, non mangiano pesce; il dio infatti è chiamato Genitore. I discendenti dell’antico Elleno sacrificano anche a Poseidone Primigenio credendo, come fanno anche i Siri, che l’uomo abbia origine dall’elemento liquido; di conseguenza, venerano anche il pesce, in quanto nasce e si nutre nel nostro elemento originario. Questa loro teoria è più plausibile di quella di Anassimandro, che asserisce non già che pesci e uomini si svilupparono nello stesso elemento, ma che in origine gli uomini nacquero all’interno dei pesci1 e, una volta cresciuti, come gli squali, e divenuti capaci di sostentarsi da soli, a quel punto uscirono fuori e guadagnarono la terra”.

20) Varrone, De l.l. VI 19: “I Neptunalia vengono da Nettuno: è questo, infatti, il giorno della festa di tale divinità”. Festo [UMBRAE]: “Son così chiamate, all’interno delle feste di Nettuno, quelle capanne di fogliame usate al posto delle tende”. Orazio, Carmina III 28: “Che potrei fare di meglio in questo giorno della festa di Nettuno? Da brava, o Lide, metti mano al Cecubo riservato, e fa’ forza alla tua solida saggezza. Tu vedi che il mezzogiorno declina e, come se il tempo che vola stesse fermo, non ti risolvi a cavar dalla dispensa l’anfora, che vi riposa dall’anno del consolato di Bibulo? Noi canteremo a turno Nettuno e le Nereidi dalle verdi chiome; tu celebrerai sulla curva lira Latona e le frecce dell’agile Cinzia; alla fine del canto sarà ricordata la dea, che signoreggia Cnido e le splendenti Cicladi, e che dai cigni appaiati si fa portare a Pafo: anche la Notte sarà celebrata con la melodia che le spetta”. Tertullianus, De Spectaculis 6: “O che gli spettacoli siano dedicati agli Dei o agli spiriti dei trapassati, essi vanno considerati come qualcosa di falso e di sacrilego [..] a quale forma di superstizione si collegassero i giochi, tanto dell’una come dell’altra specie, cioè quelli consacrati agli Dei o ai morti. I Megalensi, gli Apollinari, i Cereali, i Neptunali, i Laziali, i Floreali si celebravano pubblicamente ciascun anno; gli altri, si celebravano in onore di natalizi di re, in giorni che essi consideravano solenni, o in ricorrenza di feste e di pubbliche prosperità, o per qualche lieta circostanza municipale o in servigio di qualche credenza religiosa.”

21) Virgilio, Eneide VII 691: “Messapo, domator di cavalli, di Nettuno figliolo..” IX 523: “Messapo domator di cavalli, prole nettunia..”. X 353: “..arriva, prole nettunia, Messapo dai bei cavalli”. XII 128: “..domator di cavalli Messapo, prole nettunia”. Georgiche I 12: “E tu, a cui per la prima volta balzò il cavallo fremente dalla terra scossa col grande tridente, o Nettuno”. Stazio, Tebaide II 45: “Qui Nettuno conduce in porto i suoi cavalli, stanchi del mare Egeo; gli zoccoli anteriori scavano l’arena, le estremità, a forma di pesce, si perdono fra le onde.” III 432: “Così Nettuno sprigiona i Venti dal carcere eolio e li spinge innanzi e li sprona, consenzienti, verso l’immensità dell’Egeo; mentre avanza, gli stridono intorno alle briglie, triste corteo, i Nembi e le Burrasche turbolente e le Nubi e la Tempesta, sordida di fango smosso dal fondo: le Cicladi, vacillando sui cardini scossi, fanno ostacolo..” VI 301: “Innanzi a tutti è condotto Arione, riconoscibile dal fulgore della fulva criniera: Nettuno fu suo padre, se deve credersi all’antica fama; fu lui che per primo, si dice, adattò alla sua bocca un morso meno pungente e lo domò sul lido polveroso, risparmiandogli la sferza, perché insaziabile era la sua brama di corsa ed era irrequieto come il mare in tempesta. Spesso, coi cavalli marini, traversava lo Ionio e il mare di Libia, portando il padre azzurro su ogni lido: le Nubi, lasciate indietro, restavano attonite; gli Euri e i Noti facevano a gara per seguirlo.”

22) Numerose ipotesi sono state tuttavia avanzate. La tesi più accettata è che l’aedes sia stata edificata tra il 292 e il 219 a.e.v, ossia nella finestra temporale coperta dalla seconda e perduta decade di Tito Livio, dal momento che la prima decade e la terza non ne recano menzione. Vedi Adelina Arnaldi, ibidem pag. 22 (ivi, nota 6).

23) Livio XXVIII 11: “..e si diceva che nella campagna intorno a Roma un bue aveva parlato e che nel Circo Flaminio l’ara di Nettuno aveva stillato molto sudore”. Cassius Dio XVII 60, Romaikà: “..le porte così come l’altare nel tempio di Nettuno si coprirono copiosamente di sudore”.

24) LTUR [Neptunus Aedes in Campo], pag 341.

25) Adelina Arnaldi, ibidem pp. 59-67. Il tempio è menzionato anche in una dedica funebre, riferibile al liberto imperiale Abascantus, che rivestì il ruolo di custode del luogo. CIL VI 8423: “D(IS) M(ANIBUS) / ABASCANTO AUG(USTI) LIB(ERTO) / AEDITUO AEDIS NEPTUNI QUAE EST / IN CIRCO FLAMINI(O) / FLAVIUS ASCANIUS ET PALLANS CAES(ARIS) N(OSTRI) SER(VUS) / ADIUTOR A RATIONIB(US) PATRI PIISSIMO FEC(ERUNT)”.

26) Plinio XXXVI 26: “..dello stesso Scopa. Celeberrima è comunque, nel tempio di Gneo Domizio nel Circo Flaminio, la composizione con Nettuno, Teti, Achille, le Nereidi sedute su delfini, cetacei o ippocampi, poi i Tritoni ed il corteggio di Forco, pistrici e molti altri esseri marini, tutti opera della stessa mano – un lavoro che avrebbe meritato la gloria, anche se avesse impegnato una vita intera.”

27) Iohannes Lydus, De Mensibus IV 154: “Al novilunio del mese, si astenevano dal mangiar cavoli e pregavano Poseidone ed Afrodite e Anfitrite..”

28) Livio V 13, 4: “A quell’inverno così rigido tenne dietro – vuoi per il repentino cambiamento di clima passato dal gelo al suo estremo opposto, vuoi per qualche altro motivo – un’estate opprimente e pestilenziale per uomini e animali. Siccome risultò impossibile risalire alle cause di questo insanabile flagello (o almeno a trovare una via d’uscita), per decreto del senato vennero consultati i libri sibillini. Allora, per la prima volta nella storia di Roma, i duumviri preposti ai riti sacri celebrarono il rito del lettisternio e per otto giorni cercarono di riconciliarsi il favore di Apollo, Latona, Diana, Ercole, Mercurio e Nettuno imbandendo tre letti con il massimo di sontuosità possibile per l’epoca. Questo rito fu celebrato anche privatamente.”

29) Livio XXII 9: “..Flaminio aveva sbagliato più per noncuranza nei confronti dei sacri riti e degli auspici che per temerarietà ed incapacità, e bisognava consultare gli Dèi stessi su quali fossero i mezzi per placare la loro ira, riuscì ad ottenere che si desse ordine ai Decemviri di consultare i Libri Sibillini, cosa che di solito non viene deliberata se non quando sono stati annunciati orribili prodigi. I Decemviri, esaminati i libri profetici, riferirono ai senatori [..] Si celebrò poi per tre giorni il Lettisternio, per cura dei Decemviri addetti al culto. Sei furono i letti sacri pubblicamente esposti: uno a Giove e a Giunone, un altro a Nettuno e a Minerva, un terzo a Marte e a Venere, un quarto ad Apollo e a Diana, un quinto a Vulcano e a Vesta, un sesto a Mercurio e a Cerere”.

30) Quintus Ennius, Annales I 41: “Giunone, Vesta, Minerva, Cerere, Diana, Venere, Marte, Mercurio, Giove, Nettuno, Vulcano, Apollo”. Marzianus Capella, De Nuptiis Philologiae et Mercurii I 4142: “E subito lo scriba di Giove ricevette l’ordine di convocare gli abitanti del Cielo, ciascuno secondo il suo ordine e nei modi stabiliti, e specialmente i senatori degli Dèi, che erano chiamati i Penati dello stesso Tonante, i cui nomi il segreto celeste non permise che venissero resi pubblici: perciò, per il fatto che parimenti si impegnarono reciprocamente in tutto, diede ad essi il nome del consenso. Giove stesso richiese Vulcano, il proprio figlio, anche se egli non discendeva mai dalla sua sede splendente, poi fece chiamare anche, tra gli altri, i più potenti, i colleghi di Giove stesso i quali, due volte sei, sono annoverati insieme con il medesimo Tonante, e che il distico di Ennio comprende: Giunone, Vesta, Minerva e Cerere, Diana, Venere, Marte, Mercurio, Giove, Nettuno, Vulcano e Apollo”.

31) Varrone, De Re Rustica I 4: “..i dodici Dèi Consenti; e non quelli che si onorano in città, i cui simulacri dorati sorgono presso il Foro, sei maschi e sei femmine”.

32) CIL VI 106: “[DEORUM C]ONSENTIUM SACROSANCTA SIMULACRA CUM OMNI LO[CI TOTIUS ADORNATIO]NE CULTU IN [FORMAM ANTIQUAM RESTITUTO] [V]ETTIUS PRAETEXTATUS V(IR) C(LARISSIMUS) PRA[EFECTUS U]RBI [REPOSUIT] CURANTE LONGEIO [..V(IR) (CLARISSIMUS C]ONSUL[ARI]“.